"MENO VENTI” L’UOMO CHE HA RIVOLUZIONATO LA BARBERA … E IL TEMPO
- winedipity
- 30 set 2024
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 17 nov 2024

Se si pensa alla Barbera il nome che salta subito in mente è quello di Giacomo Bologna. Non ho mai avuto la fortuna di conoscerlo, ma ho incontrato persone che con lui hanno condiviso, bicchieri di vino, cene, degustazioni e attimi di divertimento. Ognuno di loro è stato unanime nell’asserire che Giacomo Bologna era un uomo straordinario, con un grande cuore, un amante della cucina e del buon vino e un amore incondizionato per il suo piccolo paese, Rocchetta Tanaro. Un rivoluzionario del mondo enologico che con il suo estro e bravura ha saputo prendere in mano le redini dell’azienda di famiglia, tramandate da papà Giuseppe, soprannominato “Braida” e far arrivare la sua Barbera sulle tavole più illustri di tutto il mondo.
Per quanto mi riguarda Giacomo Bologna è stato un visionario. Ha saputo dar lustro ad un vitigno che prima del suo arrivo non era sempre stato capito e forse messo in ombra dai più celebri Barolo e Barbaresco (prodotti da uve Nebbiolo), portandolo nell’olimpo dell’enologia.
Con il suo celebre “Bricco dell’Uccellone”, è stato uno dei primi a mettere la Barbera in botti di rovere francese conferendo al vino note che prima d’ora nessuno aveva mai percepito e con risultati eccellenti. Il nome scelto, a cui tutti hanno maliziosamente sorriso, è dovuto a “l’Uccellone” che era il soprannome di una donna, sempre vestita di nero, che viveva nella collina delle vigne e il cui naso ricordava il becco di un uccello. Il "Bricco della Bigotta" è arrivato poco dopo, con una vinificazione quasi simile al Bricco dell’Uccellone, qualche mese in più di barrique, un lotto di terreno diverso e quindi caratteristiche ancora differenti, di un’eleganza prorompente. A questa Barbera sono particolarmente affezionata visto che, giovanissima, durante un soggiorno in Piemonte, l’avevo assaggiata in un’osteria di paese e il mio “wow”, senza nessun linguaggio tecnico in aggiunta, ha fatto sì che me ne innamorassi a prima vista. Il nome, che sin da subito mi aveva incuriosita, è dovuto ad una pia donna che abitava di fianco alla vigna di Barbera dei Bologna, che badava alle pratiche della religione, meno però allo spirito di essa.
La ciliegina sulla torta arriva con “Ai Suma”, il “Ci Siamo!” esclamato da Giacomo, non appena terminata la vinificazione che - contro il parere di tutti - la Barbera l’aveva prodotta con l’appassimento di uve. L’eccellenza nel bicchiere. Un’esperienza che ti porta oltre, dove credevi di poter arrivare e prodotta solo nelle migliori annate. Ecco. Giacomo Bologna è stato tutto questo: innovazione e tradizione, eleganza e potenza, umanità ed emozione. Un percorso sensoriale unico iniziato con “La Monella”, la prima Barbera (mossa), prodotta da suo papà. La Monella è il nome che Braida scriveva con il gesso sulle botti della Barbera più esuberante e che da allora non è mai cambiata.
Nonostante per Giacomo il tempo sia stato troppo breve, (di lui Luigi Veronelli ha detto “A certi uomini non dovrebbe mai essere permesso di morire”), è riuscito a portare anche una filosofia diversa legata al tempo.
“Meno venti” il modo in cui lui indicava genericamente l’ora giusta per tutte le circostanze, compresa quella di quando rientrare a casa.
Io che sono una ritardataria per natura adoro questa idea di un tempo detto, rassicurante e più semplice da rispettare, magari però non sempre apprezzato da chi mi è vicino.
Credo fermamente che la grandezza di Giacomo non se ne sia mai andata davvero, la sua visione del mondo enologico e lungimiranza, raccontate dalle persone che lo conoscevano, oggi le ritrovo nei suoi figli, Raffaella e Giuseppe (detto Pinot). Due fratelli molto uniti che si completano in tutto e per tutto. La figura vulcanica dal sorriso contagioso di Raffaella, che si occupa della parte commerciale e dell’immagine dell’azienda, e la dedizione e bravura di Giuseppe per la parte enologica. Con loro inizia un percorso diverso, forse quello con cui un tempo il loro papà avrebbe voluto iniziare, ma che non gli è stato possibile fare, perché quando si vuol rivoluzionare qualcosa, servono gesti importanti che scuotano le persone.
Con loro nasce "Monte Bruna", una Barbera completamente diversa dalle altre prodotte in precedenza, un affinamento in botti grandi di rovere, che riportano la Barbera più vicina alla sua parte naturale, ma con un corpo importante e ben presente.
L’ultima nata invece è "Curej". Ringrazio Raffaella per avermene inviata una bottiglia e per avermi dato la possibilità di poterla assaggiare.
Appena aperta la scatola, colta dalla curiosità che mi contraddistingue, volevo degustarla subito. Poi un biglietto e le sue parole emozionanti mi hanno fatta desistere. Ho preso la bottiglia e l’ho messa sullo scaffale della libreria. Per più di un mese l’ho guardata e riguardata pensando a come fosse. A seconda dei giorni e degli umori immaginavo le emozioni che mi avrebbe trasmesso. Non ho nemmeno voluto leggere la scheda tecnica per non esserne influenzata. Spesso e volentieri le aspettative tolgono la magia di certi attimi.
Stasera, in una serata qualunque, l’ho finalmente presa tra le mani e l’ho stappata.
E’ stato come un ritorno al passato. Curej si spoglia in maniera magistrale delle sensazioni di legno e si veste di una naturalezza pura e sincera. Aromi freschi e fruttati. Un ritorno primordiale alle origini di questo vitigno che ha fatto un giro immenso per poter ritornare grande.
Finito l’ultimo sorso, mi sono chiesta se fosse stato davvero il momento giusto per assaggiarla. Poi però ho guardato l’orologio ed ho capito che era perfetto… segnava le “Meno Venti”.
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